La fine della tela

La vita di Élizabeth Vigée Le Brun

 

Questo testo narrativo accompagna un articolo sulla pittrice Élizabeth Vigée Le Brun pubblicato in questa sede, nella pagina ‘Arte’. I due testi nascono dalla penna della stessa autrice come parti complementari di un unico percorso.

 

Si incontravano, si sovrastavano, si accarezzavano, senza un accenno di prepotenza, quei colori a volte vivi, a volte oscuri, che definivano con un tocco leggero la figura maestosa e splendida della regina.

Una mano di giovane donna accompagnava il pennello, con delicatezza passionale, mentre il dipinto prendeva le straordinarie fattezze di Maria Antonietta.

Sfumature, ombre, punti luce, contrasti. I colori, la pittrice, li dedicava tutti alla sua amata maestà, nel tentativo di renderli splendidi e miracolosi come lei.

Il pennello sfiorava la tela: morbidi peletti definivano le linee degli oggetti e della protagonista del quadro. Un tratto dopo l'altro, prendevano vita le varie tinture, che sembravano giocare e divertirsi, diventando un armonioso dono per gli occhi, racchiudendo in esse tutta la stima e la profonda amicizia che la pittrice provava per la regina, che l'aveva scelta e supportata come sua pittrice favorita. 

Maria Antonietta, in un semplice abito bianco, teneva tra le mani un mazzolino di rose legate con un nastrino dello stesso colore della speranza, quella che nutriva sua maestà nel desiderio di farsi percepire più vicina dal suo popolo.

Sembrava quasi una donna di campagna, in quelle vesti, comunque bella e ineguagliabile, anche in una stanza quasi  priva di luce, anche con un cappellino di paglia. Lei, priva di rughe e con gli occhi grandi, tranquilli e limpidi.

La pittrice si rivedeva bambina, mentre dipingeva, cullata dalla voce del padre che le insegnava diverse tecniche di pittura mentre lei, entusiasta, si affrettava a finire un quadro dopo l'altro, fino a fondere il suo vivere con la sua passione. Il suo bisogno di dipingere equivaleva a quello di respirare; aveva aspirato alla grandezza ed era riuscita a ottenerla, nonostante il suo essere donna.

Ripercorreva la sua esistenza aggrappandosi a ogni pennellata; la sua giovane età non toglieva nulla alla pienezza con cui stava vivendo il suo sogno. Già da famosa ritrattista, il marito l'aveva comunque inserita in importanti circoli grazie al suo straordinario e precoce talento. Il nome della ragazza usciva spesso dalla bocca dei nobili, sprigionandosi nell'aria fino a giungere alle orecchie della regina, che subito l'aveva accolta a Corte.

La pittrice non solo aveva dipinto diverse volte Maria Antonietta, ma aveva ritratto molte altre dame. Queste, abbagliate dalla sua bravura, avevano richiesto i suoi servigi, e la pittrice aveva acconsentito, cogliendo  la bellezza in ognuna di loro e trasferendola poeticamente nei suoi quadri, donando loro una sorta di sorriso libero, con quel suo stile elegante e sofisticato che la contraddistingueva da molti altri pittori del suo tempo.

 Non solo in Francia, ma anche in molte altre zone d'Europa, come Roma e Berlino, i nobili continuavano a ricercarla dopo la sua fuga per lo scoppio della Rivoluzione Francese. Tutto cElizabethVigeeLeBrun2iò che possedeva, l'aveva costruito partendo da zero, essendo nulla più che una bambina, figlia di una parrucchiera e di un pastellista.

E in quel momento di sconforto si consolò sapendo che avrebbe potuto rinascere di nuovo. Aveva solo bisogno dei suoi pennelli.

Il forte legame con la Regina la mise quindi in pericolo, e si trovò a viaggiare con la figlia in tutte le corti d'Europa, dipingendo in indipendenza e libertà, sempre più richiesta e ammirata.

Le malelingue che l'accusavano di rubare l’arte di qualcun altro per prendersi, infine, tutto il merito, erano scritte sulla sua anima, incise come cicatrici provocate da armi da taglio. Avevano ferito il suo orgoglio, ma ormai erano troppo lontane per colpirla.

Era semplicemente una donna, Élizabeth, una madre, e prima di tutto una pittrice, soprattutto in quel momento, in cui non sembrava neanche più tale, stretta in quegli abiti troppo larghi per il suo esile corpo deformato dal tempo, abbandonato dal fiorire della sua giovinezza.

Ricordava ogni pennellata, sentiva l'aria della corte francese riempirle i polmoni, rivedeva il volto della regina che prendeva forma sotto l'ennesimo tocco di pennello che aspirava alla perfezione.

Quando Élizabeth Vigée Le Brun esalò l'ultimo respiro, la sua fama non morì con lei, mantenendo il ricordo di donna forte e libera qual era. La sua personalità spiccò in un mondo composto quasi esclusivamente da uomini, in cui lei riuscì a costruire una splendida e lunga carriera nonostante il suo essere donna.

Controcorrente, innovativa, ha navigato con prontezza in un mare di diffamazioni nate dall'invidia degli uomini, da cui è sempre uscita a testa alta.

Élizabeth sentiva le palpebre pesanti, l'età a cui sorprendentemente era arrivata pesava sulla sua schiena come se fosse stata una tartaruga. I capelli bianchi, raccolti in una treccia, sempre scombinata, il vestito lungo e semplice. Chiuse gli occhi, era molto stanca. Finì di ripercorrere i suoi ricordi mentre scivolava in un sonno da cui non sarebbe mai più uscita. Il cuore prese a battere sempre più lentamente, perdendo il ritmo, stonando la melodia che suonava da una vita.

Tum-tum.Tum-tum.

Tum. 

Per poi arrivare alla fine del brano, senza dolore e senza rimpianto, concludendo la sua melodia quasi senza accorgersene, lasciando quel suono sospeso nel silenzio della stanza.

Élizabeth aveva gli occhi chiusi quando morì, seduta sulla sua poltrona, nella sua casa, nella sua amata Francia.

Quando si diffuse la notizia del ritrovamento del suo corpo, molti piansero il talento di una pittrice longeva, una personalità particolare e nuova per quei tempi. Altri celebrarono la sua morte, rassicurati dal fatto che il pericolo che rappresentava quella donna - che aveva infranto tanti pregiudizi legati al suo genere - potesse muovere altre menti femminili per rivendicare il loro essere importanti quanto gli uomini.

 

F. C.