Mai sottovalutare un’opera di fantasia: ecco cosa può raccontare la saga di ‘Hunger games’

Spunti di riflessione a partire dalla saga di Suzanne Collins

Hunger Games. Un titolo sentito più e più volte, una delle saghe di maggior successo degli ultimi due decenni, portata recentemente alla ribalta dall’uscita dell’ultimo film della serie La ballata dell’usignolo e del serpente.

È naturale, dopo una tanto grande diffusione mediatica, credere di conoscere la serie anche senza aver letto i romanzi, pensare di comprenderne argomenti e temi, ritenerla magari uno dei tanti libri distopici che adesso “vanno di moda”. È giusto

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 giudicare come un qualunque romanzo per ragazzi una saga tanto realistica da risultare impressionante e tanto attuale da spaventare? Credo sia doveroso dare una seconda possibilità alla saga di Suzanne Collins per molteplici ragioni. 

Le tanto fortunate vicende immaginate dalla scrittrice ci fanno infatti vivere in prima persona alcune situazioni estreme: ci fanno immergere  in sentimenti intensi, scelte difficili e condizioni che mettono a durissima prova la natura e la resistenza umana; ci portano a mettere in discussione i valori su cui si basa la vita e ci spingono infine a riflettere su temi di incredibile complessità, come la società capitalista e i meccanismi di influenza e controllo delle persone da parte del potere.

Abbiamo già definito la saga di Hunger Games come distopica: di fronte a noi si apre una realtà per certi versi post-apocalittica, ma allo stesso tempo non così tanto diversa dal nostro mondo.  La vicenda si svolge dunque nel futuro della terra, a Panem, un paese che vede una piccola percentuale di ricchi risiedere nella capitale, chiamata - con grande fantasia - Capital City, la cui ricchezza si basa essenzialmente sullo sfruttamento del lavoro del resto della popolazione, suddivisa a sua volta in distretti, uno per ogni settore produttivo.

All’incirca una settantina d’anni prima del momento in cui inizia la narrazione - almeno per quanto riguarda i libri Hunger Games, La ragazza di fuoco e Il canto della rivolta, quindi i rispettivi film -, i distretti si ribellano al dominio di Capital City. La città tuttavia mantiene il controllo su Panem e istituisce, a guerra vinta, gli Hunger Games, un reality show in cui ventiquattro giovani (un ragazzo e una ragazza per ogni distretto) devono combattere tra loro fino all’ultimo sopravvissuto. Si tratta, per la struttura mediatica, di un reality simile a quelli cui siamo abituati: ci sono degli sponsor, degli spettatori, dei finanziatori, dei commentatori, dei premi… Non si presenta quindi come niente di così straordinario.

Non è così straordinaria nemmeno la vita della protagonista della serie, che ci porta in una simile realtà. Katniss vive infatti un’esistenza da lei percepita come assolutamente ordinaria (anche se il lettore probabilmente non condividerebbe questo punto di vista), almeno fino a quando non si offre volontaria al posto della sorella nel sorteggio dei due partecipanti del suo distretto alla settantaquattresima edizione degli Hunger Games.

Attraverso di lei sperimentiamo dunque, nello svolgersi della vicenda, i giochi del reality, e proviamo cosa comportano per coloro che vi partecipano. I combattenti, detti tributi, devono infatti affrontare due sfide principali: restare vivi e mantenere la propria umanità. Come tutti i libri e i film della saga testimoniano, il desiderio di vivere riduce chiunque a ricorrere a qualsiasi mezzo, incluso commettere atti terribili che in condizioni normali non si compirebbero mai, pur di sopravvivere. Film2

Dal racconto di un così sconvolgente scenario sorge quindi un interessante dilemma: si possono completamente biasimare i tributi per i crimini che commettono nell’arena (il luogo in cui si svolgono gli Hunger Games)? 

Si tratta di un tema estremamente controverso e incredibilmente ampio, altro motivo per cui non sottovalutare l’opera di Collins. Questo richiama infatti un gran numero di situazioni purtroppo esistenti e realistiche, come le guerre e le guerriglie, nonché tutte le situazioni di estrema povertà. 

Sarebbe già d’impatto solamente sentir parlare di tali esperienze, ma la saga di Hunger Games riesce a farcele vivere. Infatti, come già anticipato all’inizio di quest’articolo, una delle carte vincenti di questa sotira è il suo realismo sconcertante: noi siamo con Katniss, la protagonista, in ogni sua azione, pensiero e decisione; la seguiamo passo passo fino a immedesimarci completamente in lei. 

La sua storia, per quanto raccapricciante, viene proposta in termini per noi accessibili: la vicenda si compone di piccoli e semplici gesti, di scene con pochi particolari, di pensieri coerenti, che non tolgono ricchezza alla narrazione ma ci permettono di entrarvi a fondo. A questo poi si aggiunge il fatto che, a differenza di ciò che si legge in moltissimi romanzi, la protagonista non si trasfigura nel corso della storia in un’eroina irraggiungibile, in assoluta discrepanza rispetto all’inizio della storia stessa, ma resta la medesima persona, coerente a sé e al suo essere, nel corso di tutta la vicenda.


Ecco dunque alcuni spunti di riflessione che la saga di Hunger Games può offrire tramite i suoi quattro libri e cinque film. Con questo articolo si propone senza dubbio un riassunto scarno, che tralascia moltissimi elementi, temi e scenari. È doveroso pertanto un vivissimo consiglio: si leggano i libri, si guardino i film, si entri in questo mondo e si esplorino tutte le possibilità che presenta.

 

 

R. D. M.