Chi era davvero Concetto Marchesi? Storia di un rettore alla ricerca della libertà

 

Nessuno nega, o compagni, che in questo mondo dilaniato dalla guerra c'è, oggi più che mai, una trepida attesa della vita che nascerà da tanta morte e della concordia che sorgerà da un odio così smisurato e implacabile.” (Concetto Marchesi, Scritti politici, 1958)

 

Tutte le scuole hanno un nome, e di solito è quello di un autore antico o di uno scienziato troppo lontano da noi: personaggi straordinari e incredibili di cui però noi studenti non sappiamo assolutamente nulla, né ci scomodiamo a cercare qualcosa sulla loro vita.

Da qui nasce allora la seguente domanda: se la nostra scuola è stata dedicata a Concetto Marchesi, ci sarà un buon motivo, giusto?

La risposta è sì. E non solo perché lui studiava la lingua latina.

 

La giovinezza

Marchesi nasce a Catania il 1 Febbraio del 1878, e la sua giovinezza si apre con una denuncia per diffamazione da parte delle istituzioni: il suo giornale, Lucifero, aveva pubblicato un articolo che aveva suscitato alcune polemicheConcettoMarchesi perché elogiava giovani autori democratici come Carducci e Rapisardi. Tutto questo avviene quando lui ha sedici anni, e questa inclinazione a non nascondere le sue idee si ripresenterà anche negli anni futuri, anche nel periodo della sua carriera universitaria.

Ottenuti tutti i diplomi necessari e dopo aver scontato la sua pena, insegna Latino e Greco da Caltanissetta a Verona. Si laurea ancora, questa volta in Giurisprudenza; scrive inoltre commenti su opere di Ovidio, Tacito, Seneca e Cicerone. Insomma, scala la vetta della letteratura critica con la stessa rapidità di un camoscio in montagna.

 

L’impegno culturale in università

Nel 1931, Marchesi giura fedeltà al Fascismo solo per poter continuare a insegnare, ma mantiene i rapporti con il Partito Comunista, di cui era diventato membro nel 1921.

Poi, il 25 luglio 1943, una sua vacanza all’Isola d’Elba è rallegrata dalla notizia della caduta del Fascismo e, nello stesso periodo, gli viene rinnovato il suo incarico come rettore dell’Università di Padova.

Qui, dato che si stanno avvicinando i tedeschi, si dedica a proteggere l’Università e gli studenti da qualunque intrusione esterna, essendo autorizzato ad agire in totale autonomia, e ne approfitta anche per coprire le associazioni antifasciste.

E poi, sempre nel ‘43, decide di fare ciò che gli viene meglio: dire quello che vuole.

Nello stesso - più precisamente  il 9 Novembre - all’apertura dell’anno accademico, nonostante le pressioni di un gruppo di studenti fascisti, Marchesi pronuncia un discorso in cui riesce a esprimere tutto il suo dissenso, e allo stesso tempo a non sembrare un oppositore. Nemmeno dieci giorni dopo, dato che qualche fascista doveva aver capito che il vigore di alcuni studenti proveniva da quel discorso, Marchesi è costretto a nascondersi e a dimettersi dal suo ruolo.

Ma, fedele a sé stesso, decide di dare le dimissioni con stile, ovvero scrivendo un appello agli studenti di Padova per incitarli alla ribellione, perché da perdere c’è tutto e lui non ha intenzione di vedere la sua Università rovinata dalle mezze tacche in camicia nera:

Sono rimasto a capo della vostra Università finché speravo di mantenerla immune dall’offesa fascista e dalla minaccia germanica; fino a che speravo di difendervi da servitù politiche e militari. [...] Tale proposito mi ha fatto resistere, contro il malessere che sempre più mi invadeva nel restare a un posto che ai lontani e agli estranei poteva apparire di pacifica convivenza.” (Concetto Marchesi, Appello agli studenti, 1 dicembre 1943)

In queste righe Marchesi è quasi paterno, premuroso. Da queste poche parole si può intuire l’amore per il suo mestiere e per gli studenti, qualità che non sempre sono garantite in un rettore o un professore.

Inoltre, in questo appello il latinista si scusa e si rattrista per l’imminente passo con cui lascerà i suoi studenti, e descrive chi lo minacciava come «quelli che per un ventennio hanno vilipeso ogni onorevole cosa e mentito e calunniato»; lui definisce quindi i fascisti come vili, beceri, privi di onore e bugiardi: ciò che, secondo lui, erano e saranno sempre.

Infine, senza mezzi termini, Marchesi incoraggia i giovani a ribellarsi con azioni concrete, ad aiutare l’Italia a sbarazzarsi da quel male terribile, a combattere anche per portare all’Università una nuova medaglia, quella di chi combatte per la libertà.

 

Quella libertà che ci ispira

In un certo senso, quella vissuta da Marchesi è una prima idea di scuola come luogo proprio dell’educazione civica, quella che si studia  non  tanto con un PowerPoint sul cambiamento climatico, ma quella disciplina che diviene vita chperchée nasce dalla consapevolezza di poter fare qualcosa di buono per il mondo proprio grazie a quello che impariamo.

Infine, per chiudere in bellezza la sua vita, nel Giugno del 1946, Marchesi viene eletto nell'Assemblea Costituente, partecipa alla scrittura della Costituzione italiana, e gli viene affidata la revisione finale della lingua, della sintassi e dello stile del testo, proprio in virtù delle sue capacità e del suo passato ruolo di rettore e professore.

Alla luce di tutto questo, Marchesi può essere ritenuto un grande professore che ha ispirato, e ancora può ispirare, la virtù civile dei giovani. Lui era fermo, forte e furbo, amava il suo lavoro, ci teneva agli studenti e adorava usare i suoi talenti per demolire i fascisti. Cosa si può volere di più?

Dopo aver conosciuto tutto questo, non mi dispiace stare in una scuola che porta il nome di una persona così interessante, la cui lezione è ancora viva, come quella dei classici da lui tanto amati.

 

 

S. A.