Così fieri di libertà che non sempre comprendiamo

Spunti e autorevoli opinioni sul “Diritto di parola”

Per chi vive in uno stato democratico moderno è così scontato pensare ed esprimersi liberamente. Come per tutte le cose scontate, però, una volta che si analizza la libertà di cui godiamo più a fondo, si giunge a considerazioni che propongono il concetto come tutt’altro che assodato. 

Gli abitanti di tali stati liberali e non solo si chiedano, dunque, se una repubblica democratica sia condizione necessaria e sufficiente per il realizzarsi della libertà d’espressione.

Iniziamo a rispondere proponendo uno dei casi più antichi di discussione sulla libertà d’espressione: la satira in lingua latina. Il concetto di libertà d’espressione, molto caro al poeta satirico Giovenale, viene da questi trattato proprio durante un periodo dell’antica storia romana in cui di libertà agli individui ne è concessa ben poca: è l’epoca dell’impero, in cui un sovrano assoluto decide cosa è giusto esprimere, in accordo ai suoi gusti e alla sua ideologia, e stabilisce cosa invece non è possibile dire. Si consideri anche che, in una monarchia assoluta, limitare la libertà d’espressione è indispensabile, o quasi, per garantire solidità al potere: se si permette il diffondersi di critiche contro il governo, magari fondate, e si concede alle persone di sviluppare il proprio pensiero critico, il rischio è di perdere, prima o poi, il controllo assoluto sullo Stato.

Sono molti gli esempi celebri di pensatori che osarono esprimere la loro opinione contro un potere assoluto e furono di conseguenza messi a tacere. Sotto l’imperatore Nerone, per fare degli esempi celebri, molti intellettuali come Seneca filosofo, Lucano e Petronio furono messi a morte grazie ad accuse più o meno infondate. È interessante citare proprio questi tre autori perché tutti, a loro modo, svilupparono un pensiero avverso al monarca: il primo molto critico verso la sua smodata e tirannica condotta, il secondo nostalgico di una repubblica dove fossero garantiti dei diritti ai cittadini e il terzo polemico nei confronti della vita di corte e della società contemporanea in generale su tutti i livelli, tanto da scrivere un intero romanzo (almeno per quanto ne sappiamo) critico verso i vari ambiti del sistema vigente. 

Forse per un parallelismo con il citato Lucano, forse per la vicinanza (presunta) della morale proposta in certi isolati passi delle sue Saturae a quella stoica, molta critica moderna tende ad attribuire a Giovenale ideali filo-repubblicani (ovviamente per repubblica si intende quella romana del periodo 509-31a.C.): “questa opposizione stoica non fu veramente 'repubblicana' se non nel senso […] che essa si limitava in sostanza ad auspicare l'avvento di un princeps civilis: un principe rispettoso delle forme e di alcune regole 'costituzionali', col quale poter collaborare proficuamente, e soltanto non dichiaratamente e apertamente dispotico” (F. Bellandi).

Un esempio che, tuttavia, può risultare problematico per un assetto simile di stato (repubblicano-oligarchico potremmo dire oggi, oppure monarchico-costituzionale), che permetta quindi l’esistenza della libertà d’espressione, è quello dell’omicidio politico del celeberrimo oratore, filosofo e politico Cicerone il 7 dicembre del 43 a.C. Le istituzioni repubblicane, infatti, all’epoca erano ancora in piedi, per quanto assai fragili e di facciata. Come auspica Giovenale, i detentori del potere assoluto (all’epoca Ottaviano e Antonio) collaboravano per il momento con l’istituto senatorio e con le precedenti magistrature. E tuttavia, poiché Cicerone, animato dalla sincera fede nella rinascita della repubblica dopo la parentesi dittatoriale di Cesare, denunciò apertamente e ferocemente i crimini di Marco Antonio e denigrò il generale, la sua testa fu da questi richiesta e a questi concessa dopo che la guerra civile tra Ottaviano e il generale di Cesare fu giunta alla tregua del secondo triumvirato. 

Parrebbe, dunque, che non bastino le condizioni poste da Giovenale per conseguire la libertà di parola dal poeta tanto agognata. 

Ma la vicenda di Cicerone potrebbe, a buon diritto, esser considerata non sufficiente per giustificare che non basti un assetto repubblicano a garantire libertà d’espressione. Infatti la situazione romana degli anni tra la morte di Cesare e l’avvento del principato è estremamente complessa e di per sé lo Stato italico non è mai stato propriamente democratico nel corso della sua storia. Osserviamo quindi altre situazioni e nuove riflessioni intorno al concetto di libertà di parola  e diritti politici, sfiorando epoche più affini alla nostra rispetto alla Roma tardo-repubblicana.

Invece di chiederci quali assetti politici permettano la “libertas dicendi”, indaghiamo quali non possono farne a meno. La democrazia non può assolutamente prescindere da una simile libertà: prevede la partecipazione di tutti gli elementi della società al governo (almeno in teoria) e considera come mezzo per prendere decisioni riguardo allo stato il confronto tra individui, che possono portare opinioni anche contrastanti (e in questo risiede parte della straordinaria ricchezza di questo governo). Pertanto se la libertà di espressione fosse limitata e quanto viene discusso fosse filtrato da qualche tipo di restrizione, la democrazia non sarebbe più tale, perderebbe ciò che la caratterizza. 

Appurato che in democrazia è necessaria la libertà di parola, non si può escludere in toto il fatto che sotto altre forme di governo si possa garantire questo particolare diritto. Vero è che i casi contemplabili sono estremamente pochi: in un assetto politico dove non tutti godono degli stessi diritti, dove dunque non tutti sono tutelati allo stesso modo, è facile che chi possiede più potere “zittisca” chi non è altrettanto protetto, anche perché non esistono istituzioni di controllo del potere, o, se esistono, sono inevitabilmente impari per la ineguale distribuzione dei diritti.

Casi isolati di libertà espressiva sotto regimi non democratici potrebbero essere quelli verificatisi durante alcune monarchie illuminate di fine Settecento. Parliamo soltanto del caso prussiano e degli scritti del filosofo Immanuel Kant, per certi versi anti-monarchici in quanto postulavano l’uguaglianza di tutti gli individui umani perché tutti dotati di ragione: tali testi ebbero grande diffusione nel Paese, almeno fino allo sviluppo e all’espansionismo della Francia rivoluzionaria e alla conseguente censura reazionaria di Berlino nei confronti di tutti gli scritti che suggerissero la condivisione degli ideali rivoluzionari di uguaglianza.

Un potere illuminato, tuttavia, non è automaticamente garante di libertà del genere, come dimostra il “cambio di rotta” che la Prussia intraprese riguardo la libertà di stampa appena menzionato. Del resto, anche in modelli di governo ideali, quali la Repubblica platonica, il fatto che chi governa segua il “bene” non comporta la necessaria concessione di diritti che noi, come Giovenale, consideriamo un bene. Nel caso di Platone, infatti, nella Kallipolis, la città ideale delineata dal filosofo, non esiste libertà di espressione: la cultura e le forme d’arte sono considerate solo per la loro capacità di essere sani e solidi esempi morali per i giovani che percorrono un processo di formazione. Solo certe forme di espressione quindi sono accettate, altre invece sono eliminate come dannose (concezione che ricorda molto da vicino quella leninista a livello filosofico e a livello pratico l’approccio alla cultura di tutti i totalitarismi della storia, come fascismo, nazismo e comunismo). 

Senza passare in rassegna ogni tipologia di politica e ogni costituzione esistente ed esistita, accettiamo che la democrazia per sua stessa costituzione necessita di libertà di espressione e approfondiamo, antiteticamente, quei casi in cui, anche se un Paese presenta un assetto democratico stabile, in esso non è garantita la libertà di parola. 

È così comune, nelle moderne democrazie, osservare situazioni critiche in cui, per quanto le leggi tutelino in ogni modo le libertà di un individuo, la società o la maggioranza di essa tende invece a limitare la possibilità di una persona di dire ciò che pensa. È il caso dei tanti assalti verbali e non solo che travolgono chi esprime un’opinione impopolare. Affermare che non si gradisce un determinato personaggio famoso o che non si reputa interessante una qualche espressione artistica, per citare solo alcuni esempi, può culminare con il venire esclusi da un gruppo, venire insultati e anche denigrati.  

Pare quindi che non basti uno stato che garantisca la libertà, come proponevano i pensatori antichi tra cui Giovenale, perché tale diritto sia pienamente esercitato, ma che serva anche una società intelligente, capace di accettare diverse opinioni e di farle coesistere al suo interno.

Vale la pena poi esaminare un’ultima situazione che si verifica nel nostro mondo moderno. Esistono, nel parlato, forme espressive che sono state utilizzate, nel corso della storia, o che vengono ancora utilizzate per discriminare e attaccare determinate minoranze o per enfatizzare certe particolarità degli individui (body-shaming). Avviene che tali parole siano bandite dalla comunicazione tra individui e talvolta persino dalla lingua scritta, per mezzo di apposite leggi, presumibilmente per garantire il rispetto di ciascuno. Questo sforzo di facciata di non offendere, tuttavia, lede abbastanza evidentemente la libertà di esprimersi, agendo di fatto da censura.

Certamente è una violazioni dei diritti umani quella di offendere il prossimo e di discriminarlo. Limitarsi tuttavia ad eliminare gli strumenti di tale sopruso, le parole, inficiando di fatto un altro fondamentale diritto non parrebbe utile né tantomeno “democratico”.

Ancora una volta si potrebbe dire, infatti, che oltre a delle leggi tutelanti è necessaria una società consapevole, che comprenda l’importanza dei propri diritti, tanto del rispetto dovuto a ogni individuo quanto della libertà di parola, e che sia in grado di discernere la differenza tra violenza (insulto, offesa…) e semplice vocabolo usato senza alcun intento lesivo. Evidentemente un traguardo simile non è ancora raggiunto in molte delle moderne democrazie, se comitati di critica hanno approvato l’eliminazione da classici della letteratura di parole quali “grasso” e “nano” perché offensive.

Rispondendo infine alla domanda con cui abbiamo aperto la discussione, in una ring-composition tanto cara ai classici più volte menzionati, possiamo affermare che, mentre la libertà di espressione è caratteristica indispensabile senza dubbio di un governo in cui siano riconosciuti i diritti a tutti i membri della società, quindi una democrazia, non è sufficiente la sola esistenza dell’istituzione: perché ci sia libertà di parola, in ogni regime ma soprattutto in democrazia, è imprescindibile la presenza di una società matura, che sappia comprendere le possibilità e le caratteristiche dei propri mezzi espressivi e che accetti più di una libera opinione.

Riccardo Dalla Mana