Sirene e incanti
Pubblichiamo, con gratitudine e soddisfazione, l’elaborato con il quale la studentessa Sofia Andreatta si è classificata al primo posto dei Campionati di Lingue e Civiltà Classiche (XII edizione – A.S. 2023-2024)
Noi esseri umani siamo bravi a creare mostri: che siano un riflesso di paure reali o immaginate, questi hanno sempre una radice nella nostra mente e nelle nostre emozioni. Ci sono mostri che stanno sotto il letto, frutto del buio e di tutto ciò che è nascosto, ci sono mostri creati ad arte per farci avere paura di qualcosa in particolare, lupi rapitori e streghe cannibali, e ci sono mostri che ci ricordano noi stessi.
Il mostro più longevo è la donna, questo sexus infestus - la scelta di parole di Apuleio riassume perfettamente il caso -, e non si tratta di un'affermazione fatta senza prove. Ricordiamo che monstrum è tutto ciò che è straordinario e miracoloso, nel bene e nel male.
Possiamo individuare una gerarchia di mostri femminili: le dee, che sono estranee alla morte e che vivono solo le emozioni più elementari - amore e odio, gelosia e compassione - ma senza quell'empatia che rende gli umani ciò che sono; le ninfe, simbolo di una femminilità delicata e legata alla natura, le più facili da inseguire e conquistare per qualunque uomo o dio; le maghe, coloro che hanno ottenuto una conoscenza che spesso è oscura e malefica e per questo sono ostracizzate e temute, e le veggenti, le uniche in grado di avere un contatto con il divino positivo e degne di venerazione; infine, i mostri veri e propri, la femminilità più selvaggia e la ferocia rabbiosa che provengono da un torto o da una punizione che le hanno mutate completamente.
Le Sirene sono delle creature particolari, che rientrano in una categoria a metà tra il semplice mostro e una Pizia, sono crudeli e sanguinarie ma hanno accesso ad una conoscenza quasi divina: prima di tutto, sono capaci di leggere nell'animo della loro vittima, di attingere ai loro segreti e desideri e sfruttarli per attirarli, e poi loro "conoscono", ma conoscono perché hanno visto - come rivela il verbo εἰδω - e quindi hanno una conoscenza diretta di tutto, probabilmente perché i loro occhi, oltre a penetrare nell'animo degli uomini, coprono tutta la vastità della terra. Una capacità divina che però utilizzano solo per nutrirsi e per attirare gli uomini verso la loro rovina.
E Odisseo è la vittima perfetta. Non so se con Omero si possa parlare di scelte di trama volte a mostrare l'evoluzione del personaggio attraverso episodi specifici, ma trovo che sia fondamentale l'incontro tra i mostri della conoscenza e colui che è disposto a tutto pur di averla. Si tratta del suo difetto fatale, in questo caso lo porta davvero vicino alla morte, la sua υβρισ lo porta a credere di poter davvero conoscere tutto - nonostante il suo tempo a disposizione sulla terra sia davvero poco a confronto - e a ritenere di poter uscire vincitore da qualunque situazione grazie alle parole giuste o ai pensieri giusti.
Odisseo cede quasi totalmente alla sua smania di sapere ma con delle precauzioni, e per questo è davvero providus, ma emerge anche tutto il suo essere cupidus quando si tratta di sapere. Questa forza che il suo stesso desiderio esercita su di lui è forse il più potente incanto che guida e allo stesso tempo annebbia la mente di Odisseo, è la sua più grande forza e la sua più grande maledizione. In questo scontro è stato fortunato, ma non si può sfuggire al proprio difetto fatale, come immagina Dante.
Per questo l'Odisseo che tratteggia Kafka non mi piace. Questi ha infatti alimentato la sua υβρισ e lo ha premiato per essa, ha capito quanto lo esaltasse la sua capacità di pensare ma gli ha comunque permesso di vincere proprio quelle creature che sono la sua nemesi, il suo vero nemico.
Certo, la sua è una rilettura del mito, ma, oltre a inserire per motivi ignoti l'elemento errato dei tappi di cera nelle orecchie di Odisseo stesso, va a eliminare completamente quel difetto che è proprio dell'eroe. Viene sottolineato il fatto che lui riesca a sopravvivere proprio perché si crede invincibile e perché guarda già avanti, al futuro, a cosa scoprirà dopo, come se avesse già perso interesse nelle Sirene: poco probabile, dato che potremmo dire che lui, come molti, è già stato ammaliato da lontano solo dai racconti di cosa promettono i loro canti, lui è già sotto un incantesimo, un misto del loro fascino e del suo desiderio, dal momento in cui decide di premunirsi per ascoltarle.
L'elemento del silenzio delle Sirene, ossimorico e originale, invece è effettivamente perfetto per uno come Odisseo e torna anche a collegarsi con il discorso sulla donna: quel silenzio che viene subito interpretato come assenso, come vittoria da chi crede già di avere ragione, di essere riuscito a dimostrarsi migliore, è qualcosa che è comune all'esperienza umana, ma soprattutto a quella femminile. L'immagine che si crea è molto vivida, quella di un uomo travolto completamente dal proprio orgoglio perché è riuscito - incredibile - a zittire una donna che poteva davvero rivelargli qualcosa di utile; questo accade all'Odisseo di Kafka, che si rinchiude nella sua corazza di cieca ed esaltata superiorità e fissa il suo sguardo su qualcos'altro, su un nuovo obbiettivo da conquistare, ora che è riuscito ad ingannare delle simile streghe può davvero ingannare tutti. Forse anche la morte.
Eppure il suo Odisseo ha perso e si è rivelato peggiore del suo precedente omerico: le Sirene hanno perso una preda, però chissà quante navi incaute passano in quello stretto e quanti pesci possono afferrare con quegli artigli, ma dall'altra parte l'eroe di Itaca ha perso un assaggio di quella onniscienza che tanto ricercava, pur non cedendo a quel desiderio che lo anima.
Un altro tipo di incontro con le Sirene, che troviamo nei miti, vede come protagonista la sgangherata ciurma degli Argonauti, i quali riescono a cavarsela grazie ad un "ἐναντίαν μοῦσαν", e viene da chiedersi che cosa dica un canto tanto potente: forse ciò che loro desiderano, dopo secoli passati a leggere nel cuore dei mortali? Cosa si può offrire a degli esseri onniscienti? Cosa si può offrire ad una creatura indomabile?
Forse uno scopo diverso, una vita migliore, un mondo in cui non nutrirsi di cadaveri e in cui non essere crudeli perché si è come gli altri, e le loro ali e i loro artigli non sono causa di terrore. L'idea di queste sirene, che sono cullate da un sogno dolce come solo Orfeo sa creare, è rassicurante, promette una vita senza necessità di ferocia che invece continuiamo a sentire per essere ricordate, perché l'unico modo di essere rispettate è incutere timore, o si finisce per diventare ninfe.
La loro controparte più umana è la maga, colei che sa leggere e interpretare la natura per ricavarne filtri e pozioni, che modifica il significato di φαρμακον, che riesce a rendere l'uomo canis immundus. In essa la fusione tra mostro e meretrice è immediata, la sua capacità di seduzione è forse più letale di qualunque veleno, e quanta fortuna ha avuto questa creatura nelle nostre letterature, nelle nostre culture, quanti danni ha fatto e quante vite ha rovinato.
L'uomo, eterna vittima di queste creature da lui stesso create, non riesce quasi mai a difendersi e finisce per cedere sempre al loro richiamo. E non sapendo come reagire, alimenta queste fantasie, modifica le sirene che da mostri simili ad uccelli rapaci diventano candide fanciulle con code di pesce, decide di bruciare qualunque accenno di conoscenza in una donna; non potendo più avere delle dee, ricerca ninfe e angeli, teme succubi e vampire.
Qual è lo scopo di questi mostri in quelle storie?
L'unico difetto fatale che fanno emergere sembra sempre essere la lussuria, come se fosse l'unica cosa che hanno da offrire. Viene da chiedersi perché siano state create, per spiegare che cosa. Omero e il Pseudo-Apollodoro inseriscono le Sirene con un obbiettivo preciso, come un ostacolo che va superato, non tanto diverso da una tempesta in mare, e queste diventano anche un'occasione per due diversi tipi di eroi di mostrare le loro qualità e i loro difetti; per quanto poi, nel caso di Odisseo, per accedere alle informazioni di Circe, lui si lasci sedurre e si precipiti di nuovo in una serie di modelli letterari frustranti. Immagino che non si possa scampare alla mutilazione della figura femminile nella letteratura.
Osservando il caso specifico delle Sirene, la loro evoluzione nel nostro immaginario deve quasi tutto al periodo medioevale dei bestiari - dove è ancora mostro, per quanto perda parte della sua ferocia -, ai romanzi di avventura e poi alla sua fortuna cinematografica come sorella della strega ma sempre più distante dalla sua natura mostruosa.
Soprattutto nel cinema la sua trasformazione è particolare: iniziamente abbiamo la femme fatale con ancora alcuni tratti della donna vampiro che desidera consumare fisicamente l'uomo che affascina, aggiungendosi quindi alla lista di quelle donne malvagie ma seducenti che tanto stuzzicano la fantasia maschile e che rappresenta il modello negativo di donna a cui non bisogna aspirare (“Miranda”, 1948, e “Not About Men”, 1954) ; in seguito abbiamo invece la Sirena che rimane prima di tutto affascinata dal mondo umano e quindi dai suoi abitanti, la quale viene poi guidata da un uomo di cui si innamora per poi rinunciare per sempre alla sua natura primordiale per diventare una donna normale (“Mr. Peabody and the mermaid”, 1948) . Il trionfo della civiltà sul mostro, della razionalità conformistica maschile sulla parte più complessa e indomabile femminile, la Sirena non esiste più, è solo una donna con una coda di pesce che prima o poi troverà qualcuno che le faccia desiderare le gambe.
Risulta incredibile il salto che fa la caratterizzazione di questa creatura, per quanto anche prima fosse chiaramente creata ad arte dagli uomini per mettere in guardia da un modello negativo, ma non riesco davvero a liberarmi della convinzione che almeno prima avesse un qualche senso di esistere come mostro.
L'ultimo passo particolarmente interessante è quello che succede quando l'industria inizia a rivolgersi alle generazioni più giovani, in riferimento al proliferare di cartoni e serie specificamente per ragazzine incentrate sulle Sirene (“La Sirenetta”(1989), “H2O”(2006), “Aquamarine” (2006)). Qui la figura è - per fortuna - spogliata della sua aura seducente e ammaliante e viene reinventata nuovamente fino a diventare sinonimo di libertà e di solidarietà femminile. La Sirena ora può tranquillamente mimetizzarsi tra gli umani e comunque mantenere la sua coda, e viene sottolineata la sua infinita curiosità per quel mondo che le è estraneo, si muove in gruppo con le sue sorelle e ha estrema cura del mondo naturale. Ha qualche conoscenza in più, nulla rispetto a quella delle sue antenate omeriche, e finisce per sentirsi lacerata dalla divisione tra umano e marino e dal dover scegliere uno solo. Perfetto per le grandi sfide della crescita e per le prime scelte importanti.
Ha quindi riacquistato un'aura positiva ed è stata liberata anche dal suo dover essere seduzione e fascino, ma così è stata anche assimilata quasi completamente dalla sua parte umana, che ricordiamo anticamente era praticamente assente a parte per il volto. Non è più un elemento necessario alla trama, non è un antagonista che l'eroe deve sconfiggere ma un soggetto attivo, sogno delle bambine, sinonimo di una voce bellissima e di un amore per il mare. Non è più mostro che divora gli uomini, anzi ora ama studiarli, non porta in sé nemmeno una traccia di quella rabbia e di quella ferocia che le sue antenate avevano verso il mondo che le odiava.
Abbiamo addomesticato la Sirena. Abbiamo sconfitto qualcosa che avevamo creato da soli, come se nel farlo avessimo esorcizzato e domato quella capacità tutta femminile di incutere timore, di squarciare con artigli e di essere più vicino al divino, e tutta la paura che questa consapevolezza ci crea.
Sofia Andreatta