Viaggio della memoria

Il racconto di un'esperienza 

Dal 16 al 19 febbraio 2025, accompagnati dalla Prof.ssa Michela Piscitelli, io e altri quattordici studenti delle classi quinte abbiamo avuto l’onore e il piacere di partecipare al Viaggio della Memoria come delegazione del Liceo Marchesi (questo viaggio, già da qualche anno, è un’opportunità offerta dal “Progetto Giovani” del Comune di Padova).

Oltre alla delegazione del nostro Liceo, erano presenti altre figure padovane: l’Ing. Davide Romanin Jacur (delegato della Comunità Ebraica di Padova), la Sig.ra Luciana Amadio Perlasca (della Fondazione Perlasca) e la Prof.ssa Giulia Simone (docente di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Padova).

I giorni dedicati a questa esperienza sono stati intensi sia per i numerosi luoghi visitati che per le emozioni che hanno suscitato in ognuno di noi: è stato un vero e proprio viaggio di istruzione. Ogni giorno si è infatti tenuta una lezione in un luogo e paese diverso, e non sono mancati  momenti di riflessione attraverso l’ascolto di numerosi brani tratti dal diario di Giorgio Perlasca, letti durante i tragitti in pullman o nei luoghi di visita.

 

Le tappe del viaggio

La prima tappa è stata Trieste con la visita alla Risiera di San Sabba; a seguire, la città di Budapest con passeggiata al Bastione dei Pescatori e successiva visita esterna all’Ambasciata di Spagna e alla Casa del Terrore.

Il mattino seguente, sempre a Budapest, abbiamo proseguito con la visita al Monumento delle Scarpe (opera del regista Can Togay) e siamo andati al Ponte delle Catene. Abbiamo poi fatto una sosta alle Case Protette e una visita alla Sinagoga e al suo giardino, dove è stato realizzato “l’Albero della Vita”, una scultura in acciaio creata nel 1989 dall’artista ungherese Imre Vargasi, con incisi nelle foglie i nomi delle persone deportate. Ai piedi del monumento vi è inoltre una lastra in marmo con diversi nomi, tra cui quello di Giorgio Perlasca, e di persone che aiutarono a salvare gli ebrei ungheresi dalla deportazione.

Il terzo giorno è stato il più intenso, difficile ed emozionante con la visita ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Faceva molto freddo, c’era un po’ di neve sparsa a terra e la cosa che ho pensato immediatamente è stata: “Ma se ora ho così tanto freddo vestito come sono, con felpa, giaccone e scarponi, quanto freddo hanno patito quelle persone con addosso solo una leggera divisa a righe e scarpe sgualcite?”. 

Arrivare al cancello di entrata, alzare gli occhi e leggere quella scritta, che tutti abbiamo fino a quel momento visto solo sui libri di scuola o nei film, “Arbeit macht Frei”, fa venire i brividi. Ovunque si posino gli occhi, un’emozione. 

Una delle cose che più mi ha colpito è stato vedere la moltitudine di oggetti recuperati:scarpe, protesi di ogni tipo, occhiali, pentolame… Montagne di oggetti. In un padiglione è poi presente un enorme libro contenente i nomi in ordine alfabetico di tutte le persone identificate che sono state deportate e poi uccise ad Auschwitz o in altri campi di concentramento.

Verso Birkenau

Il campo di Birkenau è venticinque volte più grande di quello di Auschwitz. Nel viale d’ingresso sono ancora presenti i binari che venivano utilizzati per far arrivare i treni provenienti dalle varie città d’Europa. A metà del campo, un vagone restaurato, a ricordare quei terribili viaggi. Alla fine del campo vi è un monumento in ricordo di tutte le persone di ogni nazionalità internate a Birkenau.

L’indomani, abbiamo fatto ritorno a Padova passando per Vienna e visitando alcuni luoghi della città, tra cui il Palazzo Reale e il Monumento alle vittime ebraiche austriache della Shoah nella Judenplatz.

Avere avuto l’opportunità di fare questo viaggio è stata un’esperienza educativa e di crescita personale che tutti dovrebbero avere la possibilità di compiere. Questo è stato poi un modo per onorare le vittime dell’Olocausto e per riflettere sulle conseguenze dell’odio e dell’intolleranza.

Vorrei concludere questo racconto di viaggio con una citazione di Giorgio Perlasca:

“Vorrei che la mia storia venisse ricordata dai giovani affinché, sapendo quello che è successo, sappiano anche opporsi a violenze del genere qualora dovessero ripetersi”.

Mattia Sandon