La migrazione cinese di seconda generazione

Il Marchesi incontra Jada Bai e Sun Wenlong

Martedì 25 marzo si è tenuta, presso l’aula magna della sede dell’I.I.S. Marchesi di Cadoneghe, una conferenza per il progetto “Serica” sulla migrazione cinese in Italia. Gli scrittori che hanno partecipato, Bai Jada e Sun Wenlong, sono, infatti, autori cinesi di seconda generazione che ci hanno raccontato la loro esperienza. Abbiamo dunque avuto modo di confrontarci ascoltando le loro storie e riflettendo su un tema attuale come la migrazione cinese in Italia. 

 

Il meeting ha avuto inizio con la presentazione di Jada Bai e di Sun Wenlong. Jada è una mediatrice linguistica, lettrice di lingua Cinese all’Università di Torino e autrice freelance. Wen, invece, lavora come programmatore informatico. Suo nonno Giuseppe fu il primo a trasferirsi in Italia nel 1957 circa, con la volontà di costruirsi una nuova vita; il padre, in seguito, aprì un ristorante in centro a Bologna. Lui, nato in Italia, ebbe l’opportunità di proseguire gli studi. 

 

Con Jada, abbiamo poi visto come la migrazione cinese abbia avuto inizio anche in Italia già dal 1905, tramite la partecipazione all’Expo dell’Impero cinese (in quegli anni in Cina regnava ancora la dinastia Qing). I membri della rappresentanza cinese in Italia, infatti, sposarono donne italiane, dando inizio così a una catena migratoria. Ad oggi (secondo l’Istat), in Italia sono presenti circa 300.000 persone cinesi sui 60 milioni di abitanti della popolazione italiana, situati perlopiù nelle zone di Piemonte, Veneto, Lombardia (a Milano è celebre il quartiere “Chinatown”) e Toscana (dove si trova anche la “Chinatown di Prato”). 

Con il passare degli anni, si è creata anche una microeconomia etnica dei cinesi in Italia, basata principalmente sull’apertura di ristoranti e bar, sulla gestione di negozi di vestiti e di informatica, di centri estetici e così via. Proprio per non essere “etichettati” e relegati solamente all’ambito “commerciale”, molti giovani cinesi in Italia sono più propensi a dedicarsi agli studi. 

 

L’ultima parte della conferenza è stata poi dedicata alle nostre domande sui loro lavori e sulle esperienze personali dei relatori. Abbiamo quindi approfondito diversi temi, come i matrimoni combinati, dal momento che Giulia, la protagonista del racconto di Jada, “tra le grate di una finestra affacciate sulla strada”, si sposa con un ragazzo consigliatole dalla famiglia. Dalle parole dell’autrice è emerso che in Cina l’usanza delle famiglie di presentare un marito o una moglie per i propri figli, una volta raggiunta da loro l’età legale (per i cinesi attorno ai vent’anni), è ancora molto diffusa. Tuttavia, in molti casi, anche in questi “matrimoni combinati” avviene che gli sposi, anche se il matrimonio è stato “concordato” dalle famiglie, siano legati da un vero sentimento d’amore. 

Con Wen abbiamo discusso, inoltre, del senso di appartenenza alle due culture: secondo lui, esiste una prima ‘fazione’ che corrisponde alla nazionalità cinese, una seconda che corrisponde a quella italiana, ma non si è per forza divisi tra queste due, perchè c’è anche una “terza fazione”, che viene analizzata nel suo racconto “Essere un cinesino”. 

“La terza fazione è sé stesso - ha spiegato Wen - la tua/sua coscienza! Per essere combattuto devi avere almeno due fazioni e un giudice ultimo che giudica e sceglie [...]. La terza parte siamo noi come arbitri”.

Un altro argomento affrontato con entrambi gli autori è stato quello dei pregiudizi di alcuni italiani nei confronti degli stranieri. In tutti i loro testi, in effetti, si possono trovare dei riferimenti a questa tematica, ad esempio la similitudine della banana utilizzata da Wen nel suo articolo, che significa: “giallo fuori e bianco dentro”. 

Entrambi hanno infatti vissuto alcune esperienze di discriminazione. Secondo Sun Wenlong queste microagressioni nascono da problemi non risolti, come quello della lingua: dalla difficoltà di comunicare possono nascere casi di razzismo. Di fronte a queste difficoltà, entrambi gli scrittori hanno affermato che, per farsi forza nella società attuale e sentire di appartenere una comunità, si deve far parte di un gruppo (per esempio sportivo, musicale o amicale, ecc.). Jada ha affermato quanto segue: “Da giovani è molto importante e bello riuscire a ritrovarsi in un gruppo di cui si condividono i valori, che sia esso sportivo o di interesse”. Wen ha poi messo in evidenza come praticare sport lo abbia aiutato a non sentire la mancanza di una sua comunità: il fatto che facessi sport nell’arco di tutta la mia infanzia e adolescenza (portiere a calcio e basket) ha diminuito o attenuato questa ricerca di una comunità, perché accanto avevo la mia cerchia di compagni di squadra”. 

Infine, i relatori hanno risposto a varie curiosità, per esempio sulla differenza tra gli aggettivi “italo-cinesi” e “sino-italiani”. I primi, ci ha spiegato la prof.ssa Bai, indicano i cinesi che per caso sono nati in Italia (è la definizione che usano molte persone di seconda generazione con background cinese perché si sentono “più cinesi”), mentre il secondo termine indica italiani che hanno origini cinesi (che è la definizione che usano i sociologi, quella scientificamente corretta). 

 

Personalmente, ho trovato interessante e utile potersi confrontare con la prof.ssa Bai e il dott. Sun su temi così importanti, come la migrazione, l’appartenenza a una comunità, le differenze e analogie tra culture diverse. Noi studiamo già la lingua cinese tra i banchi di scuola e questo incontro ci ha permesso di entrare in contatto direttamente con le problematiche relative alla lingua e alle differenze culturali. È stata un’imperdibile opportunità di confronto e dialogo.

Giulia Bettio