‘Il gabinetto del dottor Caligari’ (Robert Wiene)
Un film per chi nutre una passione per l’arte
Il lungometraggio Il gabinetto del dottor Caligari, considerato come il manifesto del cinema espressionista tedesco, uscì nel 1920.
L’aggettivo impressionista e il periodo in cui il film è stato girato potrebbero spaventare molti; se a questo si aggiunge anche il fatto che si tratta di un film muto, direi che fa quasi più paura dell'horror che lo caratterizza.
Tuttavia, nonostante i miei numerosi pregiudizi, ne sono rimasta piacevolmente sorpresa.
Dal primo momento ci accoglie una meravigliosa melodia di violini che crea un primo clima di tensione. Il film si apre quindi con l’inquadratura di una panchina sulla quale sono seduti due uomini che conversano. Uno dei due, Francis, protagonista del film, comincia a raccontare di come abbia conosciuto la sua amata Jane. Questa è quindi la prima scena di questo film leggendario, definito come il primo horror nonché film d’arte della storia del cinema.
A partire da questo dialogo, attraverso la narrazione di Francis, ci muoviamo quindi nel passato verso una città onirica, con sfondi e volumi totalmente distorti, che danno ulteriore movimento alla scena.
Qui entrano in scena il dottor Caligari, un signore che si sposta da fiera a fiera per mostrare il suo fenomeno da baraccone, che lui comanda a bacchetta: Cesare, un “veggente sonnambulo" di ventitré anni.
Le due figure appaiono più distorte delle altre: il loro trucco, che rifinisce i tratti facciali come se si trattasse di un disegno, è così pronunciato e drammatico da rendere le figure stesse parte dello sfondo e, al contempo, facendole risaltare tra il resto dei personaggi.
Nel frattempo, mentre tutte le persone si radunano attorno al misterioso sonnambulo, questi indica un amico di Francis affermando: "Hai fino all’alba".
Dopo questa inquietante predizione, nel villaggio si verificano una serie di omicidi compiuti proprio da questo fantomatico duo.
La situazione va dunque deteriorandosi, fra le indagini e i colpevoli che aumentano, fino al colpo di scena finale, che rivolterà la storia e la vostra percezione di cosa sia vero e cosa no.
Io consiglierei questo film sia per il colpo di scena finale, sia per le incredibili scenografie; queste prendono infatti spunto direttamente dall’arte di quel tempo, che, subito dopo la Prima guerra mondiale, era particolarmente rassegnata, priva di speranza per il futuro. Questi forti contrasti bianco-nero servono a rappresentare proprio questa emozione popolare e, insieme alle luci, che davano ancora più ombre sinistre ai corpi, aggiungono una sensazione di allucinazione.
Lo stesso veggente Cesare, comandato dal dottor Caligari, è costretto a fare cose orribili, per questo il povero sonnambulo fu interpretato come simbolo della milizia innocente, costretta a compiere gesta violente.
Ai tempi odierni il film è ancora una validissima visione perché, come ogni film che si rispetti, ha molto più di questo. Infatti, tra tutte le metafore utili a rappresentare l’impotenza, è stata scelta proprio quella del sonnambulismo, ossia il continuo dormire, e di certo questo non è un caso.
Infatti, come Eraclito afferma nella sua teoria dei dormienti e degli svegli - con evidente semplificazione da parte della scrivente -, i dormienti sono coloro che non contestano le informazioni; coloro che sono “svegli”, invece, contestano le informazioni a loro disposizione per arrivare alla verità.
Dunque, forse la malvagità della guerra dipinta dal film non è del tutto attribuibile a coloro che comandano e indirizzano i dormienti verso azioni nefaste, perché è invece propria delle persone che non contestano ciò che viene detto loro e accettano passivamente il sistema.
Ed è esattamente per questo che mi sento di raccomandare questa visione: perché, soprattutto in questi tempi, in cui il mondo sembra sempre più corrotto e noi più impotenti, è importante ricordare che abbiamo ancora una voce, che possiamo contestare ciò che non riteniamo giusto, che non dobbiamo essere burattini dormienti del potente.
S. S.
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